Posted by : rico domenica 3 novembre 2013

L’Italia non ha bisogno di migliorare la sua posizione competitiva: la vera conquista di un ritorno alla Lira risiederebbe nella possibilità di indirizzare autonomamente le decisioni di politica fiscale e monetaria.
L’uscita dall’Euro dell’Italia e degli altri paesi appartenenti all’area Euro è oramai un tema ricorrente all’interno del dibattito politico ed economico internazionale.
Chiunque si interessi al giorno d’oggi di questioni economiche non può fare a meno di imbattersi in alcune domande chiave quali: conviene a paesi quali Italia, Grecia, Spagna uscire dall’Euro? Cosa succederebbe se l’Italia ritornasse ad adottare una valuta nazionale?
Comune denominatore (non il solo, ma di gran lunga prevalente) delle posizioni a favore dell’uscita dell’Italia dall’area monetaria unica è il seguente: con un ritorno ad una propria moneta nazionale il nostro paese beneficerebbe di notevoli guadagni dicompetitività sui mercati esteri, le esportazioni aumenterebbero e il saldo della bilancia commerciale segnerebbe un bel più
Ciò anche in ragione di quella che, a parere della maggior parte del mondo politico e accademico, viene presentata come la vera causa del sorgere della crisi dell’Eurozona, ossia i deficit commerciali registrati dai paesi periferici dell’area.

Perchè un ritorno alla Lira?

L’uscita dall’Euro, infatti, sarebbe accompagnata da un ritorno alla valuta nazionale, il cui valore rispetto all’Euro non starebbe in un rapporto di parità (1:1), bensì inferiore (ad es: 1: 0,5). La svalutazione, ossia la perdita di valore della valuta nazionale rispetto all’Euro, consentirebbe, a parità di tipologia e qualità di merci vendute sui mercati internazionali, di incrementare la quota di mercato italiana tramite un aumento della quantità di beni venduti all’estero, migliorando il saldo della bilancia commerciale (in deficit a causa dell’importazione netta di beni energetici).
Sempre considerando la bilancia commerciale italiana, la svalutazione della moneta nazionale rispetto all’Euro avrebbe però effetti negativi dal lato dei beni importati, causando un aumento del valore dei beni acquistati all’estero, contribuendo quindi ad un peggioramento del saldo con l’estero.

Ma l’Italia ha effettivamente bisogno di riacquistare competitività?

Poichè siamo scettici di natura, andiamo a guardarci un po’ di dati sul commercio estero dell’Italia.
Il grafico qui sopra (dati FMI) riporta i dati del saldo delle partite correnti in rapporto al Pil (ossia la differenza tra esportazioni di beni e servizi con aggiunta la differenza tra redditi in entrata e in uscita dal paese. I redditi in uscita sono rappresentati ad esempio dagli interessi che lo Stato italiano paga sui titoli detenuti da residenti esteri: come sappiamo da un precedente articolo che si trova qui, la quota di maggioranza dei titoli pubblici nostrani è detenuta proprio da soggetti esteri).
L’andamento nettamente discendente della serie a partire dal 2000 fino al 2010, anno in cui il rapporto tra saldo delle partite correnti e Pil ha raggiunto il -3,5%, ha fatto scattare l’allarme. Ecco, si dice, a scatenare la crisi dell’Euro non sono stati gli “insostenibili” livelli del debito pubblico, bensì il peggioramento dei rapporti con l’estero; un’uscita dall’euro e un ritorno alla Lira consentirebbero allora di riacquistare la competitività perduta nel corso del primo decennio della moneta unica, la quale non ha consentito ai paesi membri di adoperare il meccanismo della svalutazione per riequilibrare i deficit commerciali.
L’inversione di tendenza del dato a partire dal 2010 sarebbe il frutto della crisi la quale, deprimendo la domanda aggregata, avrebbe depresso anche le importazioni, con ciò riequilibrando parzialmente lo squilibrio esterno.
I dati riportati qui sopra (dati Ameco) ci dicono però che l’andamento di esportazioni e importazioni di beni e servizi italiani nel corso dell’ultimo decennio non è stato così drammatico. Ad eccezione del periodo compreso tra gli inizi del 2008 e la fine del 2010, il saldo è stato, in media, grosso modo in pareggio. In più, se si osserva l’orizzonte temporale compreso tra il 2009 e il 2013, si vede come le esportazioni abbiano sperimentato un trend crescente, mentre le importazioni hanno cominciato a diminuire solo a partire dal 2011.
La serie del grafico sopra (dati Ameco), che misura la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi, ci fa vedere come, in effetti, un vero e proprio saldo negativo è riscontrabile nel periodo compreso tra il 2008 inoltrato e il 2011, mentre già a partire dal 2010 si registra una tendenza al miglioramento del saldo.
A seguito della crisi, allora, sono sì diminuite le importazioni, ma sono contemporaneamente aumentate in misura maggiore anche le esportazioni; proprio questo aumento è la causa principale del miglioramento del saldo della bilancia commerciale italiana che, secondo le stime, nel 2013 raggiungerà un valore positivo pari a circa 60 miliardi di euro.

Re: Perchè un ritorno alla Lira?

Ci sembra allora, anche se non abbiamo alcuna pretesa di esaurire l’argomento, che l’Italia non abbia poi più di tanto bisogno di beneficiare di una maggiore competitività. Un paese che è l’ottavo esportatore mondiale (secondo in Europa solo alla Germania) e che ha una quota sull’export internazionale pari al 3,0% non sembra da biasimare, almeno per le performance con l’estero.
Un problema forse più importante che il paese si troverebbe ad affrontare in seguito alla svalutazione rispetto all’Euro della moneta nazionale, risiederebbe nel rischio di un aumento del valore dell’energia importata, la quale entra in maniera consistente nel paniere dei beni che misurano l’indice dei prezzi al consumo, ossia il principale deflatore dei salari reali.
Un aumento dell’indice dei prezzi al consumo, dati i salari monetari, condurrebbe ad un’ulteriore diminuzione dei salari reali, già in netta discesa negli ultimi anni, come evidenza il grafico qui sotto (dati Ameco), in cui si mette in evidenza l’andamento decisamente negativo registrato dalle retribuzioni reali a partire dal 2011, con un ritorno ai livelli negativi del 2002:
E’ questa un’eventualità da considerare con estrema attenzione (non l’unica, ovviamente: si pensi alle possibili perdite in conto capitale che gli istituti di credito potrebbero subire a seguito di una svalutazione del valore dei titoli) , in quanto unasituazione distributiva già particolarmente a sfavore delle classi medio-basse non ha di certo bisogno di essere alimentata, anzi: urge al contrario la necessità di una netta inversione di tendenza, e un eventuale ritorno alla Lira non dovrebbe, a parere di chi scrive, contrapporsi ad una simile impellenza, bensì favorirla e sostenerla.
Di più, la vera conquista per l’Italia di un ritorno alla moneta sovrana sarebbe quello di riacquistare autonomia decisionale in materia di politica fiscale e monetaria. Si potrebbe finalmente rompere quel rapporto (ormai saturo) con l’autorità monetaria europea, in maniera tale da poter abbattere i vincoli alla spesa stabiliti da Maastrichte le barriere economiche e istituzionali imposte dalla BCE nel poter operare come prestatore di ultima istanza.
Più spesa pubblica significa infatti maggiore occupazione, produzione e reddito. Un più elevato livello di occupazione comporterebbe prima o poi, grazie al maggiore potere contrattuale della classe lavoratrice, più elevati salari reali.
Inoltre, senza i paletti che limitano e rinnegano la spesa in deficit dello Stato e con una banca centrale nazionale operante da prestatore di ultima istanza, si potrebbero perseguire contemporaneamente gli obiettivi di piena occupazione e di contemporaneo sostegno ai titoli pubblici nazionali.
Cosa succederebbe allora se ci fosse un ritorno alla Lira? La risposta è: si potrebbero finalmente prendere decisioni in autonomia e nell’interesse collettivo.
Tutto sta nel vedere se c’è davvero qualcuno disposto ad attuarle.

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