Posted by : rico martedì 9 luglio 2013

L'interno del Jet-Joint European Torus (Efda-Jet)




Riprodurre sulla Terra le reazioni di fusione nucleare che avvengono nel Sole per realizzare centrali elettriche termonucleari a fusione. Questo l’obiettivo del Jet (Joint European Torus), promosso dall’Unione europea presso il centro di ricerca di Culham, una dozzina di chilometri a sud di Oxford, nel Regno Unito.

TRENT'ANNI - «Era il 25 giugno 1983 quando al Jet è stato creato per la prima volta il plasma, nel quale a causa delle temperature elevate (superiori a 3 mila gradi) gli elettroni non sono più vincolati negli atomi», spiega Francesco Romanelli, ricercatore Enea e direttore dell’esperimento Jet dal 2006. «Il plasma che produciamo al Jet raggiunge temperature anche dieci volte superiori di quelle del centro del Sole: circa 200 milioni di gradi, le più alte di tutto il Sistema solare».


Il tokamak, il reattore toroidale (Efda-Jet)



FUSIONE - Le prime ricerche sulla fusione risalgano all’inizio degli anni Cinquanta, ma un grande impulso allo sviluppo lo si è avuto con le ricerche condotte dall’Unione Sovietica verso la fine degli anni Sessanta e con lo shock petrolifero del 1973. «In quel periodo Ue, Giappone e Stati Uniti decisero di avviare separatamente progetti di studio della fusione, ma negli anni Novanta gli investimenti furono ridotti a causa della diminuzione del prezzo del petrolio. Con i cambiamenti climatici in atto, l’interesse verso la fusione è di nuovo cresciuto e la Commissione europea ci ha chiesto lo scorso anno se entro il 2050 riusciremo a produrre energia elettrica da fusione con una centrale dimostrativa», prosegue Romanelli. «Quindi abbiamo realizzato una roadmap che prevede la costruzione entro il 2020 dellacentrale sperimentale Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) ed entro il 2040 della centrale dimostrativa Demo, per proseguire successivamente con le prime centrali commerciali a fusione. Si tratta di una grande sfida, tanto in tema di ricerca quanto per l’industria».
BUDGET - Il budget annuo di Jet è di 60 milioni di euro, di cui il 75% coperto dall’Unione europea, il 12,5% dal Regno Unito e il restante 12,5% dagli altri laboratori europei coinvolti. «Non abbiamo mai sforato il nostro budget e stiamo proseguendo nel programma senza nessun ritardo», chiarisce il professore.
I COMBUSTIBILI - Le reazioni di fusione che avverranno nelle future centrali nucleari coinvolgono i due isotopi dell’idrogeno: il deuterio (il cui nucleo è composto da un protone e un neutrone) e il trizio (un protone e due neutroni), che si possono fondere per produrre un atomo di elio più un neutrone. L’energia cinetica dei neutroni sarà poi usata per produrre calore ad alta temperatura e quindi elettricità proprio come avviene nelle normali centrali termoelettriche. «Il deuterio è un isotopo molto comune sulla Terra: un litro di acqua di mare ne contiene circa 30 milligrammi», spiega Romanelli. «Il trizio invece è raro e nel rettore lo si produrrà attraverso la reazione tra un neutrone e un atomo di litio, che dà come risultato un atomo di elio più uno di trizio. Sulla Terra ci sono abbastanza deuterio e litio per soddisfare 30 milioni di anni di fabbisogno elettrico». Si stima che il costo del combustibile nelle future centrali a fusione rappresenterà all’incirca l’uno per cento del costo del megawattora finale.


La sala operativa del braccio robotico (Ccfe)



VERSO ITER - Le ricerche condotte dai 500 scienziati che stanno lavorando a Jet (di cui 350 europei) sono un elemento fondamentale per la realizzazione della macchina a fusione Iter a Caradache, nel sud della Francia. Iter sarà la prima al mondo a confinamento magnetico del plasma a generare un surplus di energia con reazioni deuterio-trizio. Grazie a Iter si cercherà di ottenere un plasma in grado di sostenere la reazione di fusione per un tempo sufficientemente lungo (mille secondi), mentre con Demo le reazioni dovranno durare per un tempo indefinito. «In totale l’Unione europea pagherà 6,5 miliardi di euro per la costruzione delle componenti di Iter di sua competenza e una volta che la macchina sarà realizzata costerà in gestione circa 300 milioni di euro l’anno per vent'anni (un terzo sarà pagato dall’Ue)».
LE SFIDE - Riprodurre le reazioni nucleari del Sole in un toroide di 80 m³ non è un’impresa facile: due sono le principali sfide tecnologiche che gli scienziati stanno affrontando. La prima consiste nello sviluppo di componenti che possano smaltire in maniera veloce e affidabile il calore prodotto nelle reazioni di fusione, e la seconda è realizzare materiali che riescano a sopportare e assorbire per almeno cinque anni l’elevato flusso di neutroni prodotto nella fusione deuterio-trizio. Per questo motivo sono stati introdotti materiali a base di berillio e tungsteno al posto del carbonio, che ha dimostrato di avere un tasso di erosione troppo elevato. In particolare, il tungsteno è utilizzato nella parte inferiore del toroide, dove si concentra la maggior parte del calore prodotto, in quanto ha un’alta temperatura di fusione e un basso tasso di erosione.
SICUREZZA E AMBIENTE - In una centrale a fusione non avvengono reazioni a catena e nel caso peggiore possibile, cioè di mancato funzionamento di tutti i sistemi di controllo, la fusione si interromperebbe in circa un secondo. Questa è una grande differenza rispetto alle centrali nucleari a fissione, nelle quali in caso di incidente o di guasto si deve provvedere a smaltire il calore di decadimento e si possono verificare reazioni incontrollate. È vero che il plasma raggiunge temperature di centinaia di milioni di gradi, ma si tratta di un gas un milione di volte meno denso dell’atmosfera: nell’improbabile eventualità che il plasma fuoriesca dalla macchina, la temperatura scende subito e le reazioni si fermano immediatamente. Inoltre, nelle centrali a fusione non si producono elementi radioattivi con tempi di dimezzamento di migliaia di anni e quindi non ci sarà bisogno di realizzare depositi di stoccaggio permanenti dei rifiuti radioattivi. I materiali irraggiati dal flusso neutronico diventano sì radioattivi, ma con tempi di dimezzamento di alcuni decenni, massimo un secolo. Il problema maggiore riguarda il trizio, che ha un tempo di decadimento di 12 anni e che non deve essere assolutamente disperso nell’ambiente. Per evitare agli operatori qualunque tipo di contaminazione radioattiva, tutte le operazioni di manutenzione verranno effettuate dall'esterno tramite braccia meccaniche.
L'ENERGIA DEL FUTURO - «Nessuno sa quanto costerà il megawattora nel 2050. Se le fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico, si riveleranno affidabili e a buon mercato per tutta l’umanità ovviamente non avrà senso puntare sulla fusione», spiega Niek Lopes Cardozo, a capo di FuseNet (The European Fusion Education Network). «Sappiamo però che le rinnovabili hanno bisogno di sistemi di stoccaggio che fanno crescere il costo finale del megawattora. Credo quindi che sia importante investigare la possibilità di realizzazione delle centrali a fusione». «Ritengo che l’obiettivo primario oggi sia ridurre il consumo di combustibili fossili per limitare i cambiamenti climatici», conclude Romanelli. «La fusione è una fonte ottimale per fornire energia, inoltre è in grado di gestire le fluttuazioni tipiche delle rinnovabili».


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