Si allarga ulteriormente lo scandalo sulle intercettazioni di massa condotte dall’intelligence statunitense su decine di milioni di cittadini. È emerso, infatti, che oltre ai dati sulle telefonate, il governo spia anche l’attività sul web, intrufolandosi nei server delle maggiori compagnie del settore. Post di Facebook, messaggi di Gmail, video di Youtube, ricerche su Yahoo, conversazioni Skipe. Tutto viene raccolto dalla National Security Agency (Nsa) con la scusa della guerra al terrorismo, a prescindere dal fatto che i bersagli siano sospettati o meno di commettere degli illeciti. La stampa attacca violentemente il presidente Usa Barack Obama, rinfacciandogli un’ipocrita continuità con le tanto criticate politiche del suo predecessore. Mentre dalla Casa Bianca si difendono dietro la “minaccia terroristica” e sottolineano, a loro difesa, che l’attività di monitoraggio prende di mira soprattutto i non statunitensi.
Dopo la pubblicazione di un documento che ha dimostrato come la Nsa chieda sistematicamente i dati sulle operazioni dei clienti delle maggiori compagnie telefoniche e internet provider Usa (oltre a Verizon, anche AT&T e Sprint), il Washington Post e il Guardian hanno svelato che il governo statunitense si è introdotto anche nei server delle più grandi aziende nel campo della tecnologia, estraendone “audio, video, fotografie, e-mail, documenti, password e username per continuare a tracciare nel tempo l’attività degli statunitensi sulla rete”.
Il nome del programma – avviato nel 2007 da Bush e ripreso nel 2012 dall’amministrazione Obama – è “Prism”, e secondo quanto riporta il Wp rappresenta “la fonte principale delle informazioni che le agenzie di intelligence forniscono nel rapporto che ogni mattina viene consegnato al presidente degli Stati Uniti”. Tanto è vero che solo lo scorso anno è stato citato 1.447 volte nel rapporto al presidente. A sostegno delle tesi, il Washington Post e il Guardian pubblicano una presentazione di Powerpoint composta da una quarantina di slide che verrebbe utilizzata per addestrare i membri dell’intelligence sul funzionamento del programma.
Ufficialmente Prism si avvale della collaborazione delle grandi compagnie del web. La prima ad essere coinvolta fu Microsoft, nel 2007, seguita a ruota da Yahoo, Google, Facebook, YouTube, Skype e AOL. L’ultima a “cedere” sarebbe stata Apple nel 2012.
Tuttavia le aziende hanno negato categoricamente ogni coinvolgimento. “Non abbiamo mai sentito parlare di Prism”, sostiene Steve Dowling, portavoce di Apple. Gli fa eco Joe Sullivan, capo della sicurezza di Facebook: “Per quanto ci riguarda nessun governo ha accesso diretto ai nostri server”. Stesso discorso per Google, che in un comunicato informa di “non aver mai avuto una ‘back door’ per garantire l’acceso diretto ai server alle agenzie governative”.
Da parte sua, l’Nsa ha confermato l’esistenza del programma, sostenendo però che sia “interamente legale” e necessario per la sicurezza nazionale. E, soprattutto, prende di mira solo i non statunitensi. “Le informazioni raccolte con questo programma sono tra le più importanti, e servono a proteggere la nostra nazione da molte minacce”, ha dichiarato il direttore della National Intelligence, James Clapper, assicurando anche che il programma “non può essere utilizzato per raccogliere in modo intenzionale dati su cittadini statunitensi o persone all’interno degli Stati Uniti”.
Magra consolazione, che infatti non accontenta la stampa Usa. “George W. Obama”, titola polemicamente l’Huffington Post, ricordando al presidente democratico le dichiarazioni del 2008: “Non c’è ragione per cui non si possa combattere il terrorismo mantenendo allo stesso tempo le nostre libertà civili”. “La retata del presidente Obama”, rincara la dose il New York Times, sostenendo che “l’amministrazione ha perso ogni credibilità” sul tema della trasparenza. Il quotidiano newyorkese liquida come “banalità” le scuse provenienti dalla Casa Bianca. Luoghi comuni “offerti dal presidente Obama ogni volta che viene colto in flagrante nell’utilizzo oltre i limiti dei propri poteri”. In pratica, denuncia l’editoriale del Nyt, il governo dice: “I terroristi sono una minaccia reale e dovete solamente fidarvi di noi, poiché vi assicuriamo che abbiamo dei meccanismi interni che ci consentono di non violare i vostri diritti (di quali meccanismi si tratti, però, non veniamo a dirlo a voi)”.
L’attacco “liberal” e la difesa repubblicana
“Sono molto preoccupato del fatto che Obama stia seguendo fondamentalmente le politiche di Bush con gli abusi previsti dal Patriot Act. Francamente mi sarei aspettato di meglio da questa amministrazione”. A dirlo è il deputato democratico progressista Peter DeFazio, che insieme a un piccolo gruppo di parlamentari “liberal” critica l’amministrazione Obama sul tema dei diritti civili e della privacy, come avevano fatto in passato con Bush. “È necessario che il presidente torni indietro e si vada a rileggere quello che diceva nei suoi discorsi contro George W. Bush durante la campagna elettorale del 2008”, afferma Elijah Cummings, altro deputato democratico progressista.
A difesa del governo arriva invece Karl Rove, ex braccio destro di George W. Bush. Secondo lui l’enorme raccolta dati ad opera della National Security Agency è necessaria per proteggere il Paese dalla minaccia terrorista. Tanto che un’analisi seria di tutte queste comunicazioni avrebbe evitato l’11 settembre e l’attentato di Boston. “Io qui non sto difendendo l’amministrazione Obama – ha puntualizzato Rove parlando alla Fox – ma la comunità di intelligence e i componenti di tutte le strutture che si occupano di lotta al terrorismo internazionale”.